Le tracce tra mito e realtà

L'uomo fin dai suoi primi passi ha cercato di utilizzare tutto ciò che la natura gli offriva prelevando elementi dal mondo
animale, vegetale e minerale, non solo per alimentarsi ma anche per la cura di malattie o per sfruttare presunte proprietà portentose con rituali magico-religiosi. Il ritrovamento nelle rocce di oggetti sconosciuti (fossili) e di misteriose tracce, che non rientravano nel semplice ordine naturale delle cose, arricchirono di nuovi simboli il già vasto mondo dell’irrazionale. Così nei tempi delle fatture, dei filtri e delle pozioni magiche anche i fossili hanno versato il loro contributo. Molte di queste credenze erano così forti e radicate che alcune sono sopravvissute ancora oggi nella nostra civiltà, si pensi all'uso di amuleti quali il cometto, il corallo rosso o alle virtù protettive attribuite all'ambra.
Ai fossili ed alle tracce sono legate fantastiche storie e sovente il loro ritrovamento rappresentava la prova tangibile della veridicità di miti e leggende.
Così l'ascesa dei polimorfi, esseri immaginari derivati per deformazione mostruosa da organismi reali, è favorita dal ritrovamento di tracce e fossili mal interpretati. E l'esistenza del drago, il polimorfo per eccellenza, composto da un serpente ed un uccello, mostro malefico per antonomasia e necessaria controparte all’ eroe salvatore, incessantemente combattuto ed ucciso da legioni di santi e cavalieri, veniva dimostrata dal ritrovamento di tracce di riempimento delle valve di un mollusco bivalve (rudista) estinto alla fine dell'Era Mesozoica, scambiate per denti o in modo più eclatante dalla scoperta di crani fossili attribuiti al mostro, ma in realtà appartenenti a rinoceronti.
Così le frequentazioni terrestri del diavolo, furbissimo e implacabile tentatore, inesorabilmente destinato a figure meschine, restavano documentate da impronte di vario tipo impresse nella roccia. Le orme di rettili fossili, come quelle di alcuni dinosauri o le sezioni trasversali, a forma di zoccolo, di alcuni molluschi (Megalontidi) del Trias delle Alpi, ne testimoniavano non solo la presenza ma anche le diverse sembianze sotto le quali si celava nelle sue visitazioni terrene. Così antichi messaggi extraterrestri si materializzavano in tracce, anche se di natura minerale. Le vene di calcite nei ciottoli infatti assumono spesso forma di lettere o numeri, provate a cercare lungo il greto ciottoloso di un torrente e ne avrete la prova. Il recupero di questi ciottoli con sillabe e numeri permetteva di ricostruire frasi di senso compiuto, alle quali veniva attribuito un particolare significato divino. E la Liguria? Anche la nostra terra ha già dato: dalla più antica storia della pietra-serpente alla più recente scoperta dello yeti.
La credenza della pietra serpente diffusa in molte zone era viva anche alla Spezia: nel secolo scorso in una cava nei dintorni di Vezzano fu ritrovata una strana pietra contenente un corpo spiralato, attribuito ad un "serpente pietrificato" avvolto su se stesso e privo di testa. Dopo qualche anno, come riporta Capellini, fu riconosciuta la natura fossile del reperto ed attribuito ad un'ammonite; un mollusco estinto alla fine dell'Era Mesozoica (circa 66 milioni di anni fa), che possedeva un guscio a spirale piana. Ma il mito del serpente pietrificato quasi a voler esorcizzare il simbolo biblico del peccato, non è ancora crollato, così se esce la storia dell’ammonite-serpente entra quella della spina di serpente, in altre regioni italiane. In alcune località infatti le tracce allungate, sottili. denticolate di foglie fossili vengono interpretate come una colonna vertebrale pietrificata del rettile: appunto "spina di serpente".
E lo Yeti nostrano? In molte tradizioni all'origine del mondo c’è un gigante dalle cui ossa si generano le montagne, dal sangue il mare e così via, in altre invece questi esseri vengono declassati al ruolo di "abominevoli uomini delle nevi" e relegati in qualche inaccessibile montagna. Lo yeti di casa, che potremmo far rientrare in quest'ultima categoria, nessuno l'ha visto ma qualcuno ha creduto di individuarne la presenza con il ritrovamento di orme gigantesche su alcuni poggi della Liguria occidentale. Purtroppo di questo "abominevole uomo dei vigneti" non c'è traccia vera, quelle trovate infatti non sono che semplici prodotti naturali dovuti a fenomeni di erosione superficiale che simulano la morfologia di un gigantesco piede umano.

Walter Landini