A chi visita il bel sito web del Comune della Spezia, capita subito di incontrare, nella sezione di guida ai luoghi artistici, una scheda su un gioiello medievale a ridosso della città: la pieve di San Venerio.
In poche ma dense righe, sia pure con qualche refuso, come la foto stampata al contrario, si conduce anche il visitatore esigente, ammaestrato da un anno di giubileo, ad un’attenta visita all’interno e all’esterno dell’edificio sacro. Ricostruito dai signori territoriali, i da Vezzano, nel 1084, esso conserva tuttavia testimonianze di più antiche stratificazioni insediative, scaglionate fra l’età romana, l’altomedioevo e gli esordi del protoromanico.
Quindi un frammento antico, che val la pena di segnalare e -si suppone- di tutelare, della storia di un territorio, che ha conosciuto dalla metà dell’Ottocento lo stravolgimento di vertiginose trasformazioni insediative. Peccato che a quel medesimo, interessato, visitatore virtuale sia impossibile passare ad una visita reale dell’edificio, chiuso dal Natale del 1998, per ordinanza dei Vigili del fuoco, dopo che un fulmine aveva minato la sommità della contigua torre.
Il materiale che continua a cadere dal tetto pericolante, la pioggia e la polvere del vicino cantiere che filtrano dalle aperture, i corpi di piccioni che vengono a morire nell’edificio, senza che sia possibile procedere neppure ad una sommaria pulizia, fanno di questa chiesa, oggetto di venerazione per il culto reliquiario del santo eremita Venerio e prediletto terreno di sepoltura dei fedeli per tutto il Medioevo, un luogo di insopportabile tristezza e squallore.
Il visitatore tenace ripiega perciò sull’esterno dell’area absidale, ma solo la conoscenza dell’orario di apertura del circostante cimitero, recintato, consente una visita lungo i tappeti erbosi e sotto gli svettanti cipressi, per respirare quell’atmosfera di pace che si coglie nei cimiteri rurali, fino alle absidi doppie, dove la bianca dolomia si alterna al rossiccio dell’arenaria, con effetti di voluta bicromia, fino alla massiccia torre campanaria a fianco, le cui finestrature, chiuse da fragili archetti in mattoncini romani di reimpiego, parlano per il conoscitore il linguaggio artistico delle torri ecclesiastiche che si elevarono nel Nord Italia alla metà del Mille. (continua sotto)


A lato:
La Pieve di San Venerio.

Come appare nelle pubblicazioni del Comune, prima della ristrutturazione del piazzale.
 
Sotto:
La Pieve di San Venerio, come appare oggi
 
L’immagine della pieve immessa nel sito web ha però fatto cogliere al nostro ideale visitatore una semplice facciata a capanna, sormontata da una bifora gotica, aperta su un piazzale asfaltato ombreggiato da giganteschi alberi annosi, ed egli vuol portarsi via almeno una suggestiva foto ricordo. Ma l’immagine virtuale (peraltro riprodotta rovesciando la destra con la sinistra) risale ad oltre quattro anni fa, prima cioè che il nuovo assetto del piazzale, curato dal Comune medesimo della Spezia in un stile architettonico modernizzante e fin troppo levigato, finisse per distorcere il rapporto fra la chiesa, il vicino oratorio barocco e la torre, anche per la presenza di un curioso “complesso monumentale”, in cui si staglia un masso marmoreo, peraltro residuo di lavorazione di cava apuana. Un solo albero ormai lambisce d’ombra la facciata, a ricordare che la pieve era una chiesa rurale, non un monumento in un giardino da ricchi.
Non è questa la prima delle trasmutazioni che la chiesa ha subito. Circa un secolo fa, il grande studioso Ubaldo Mazzini, intuendo sotto l’intonaco ottocentesco, la maggiore maestosità della muratura a corsi medievale, ne aveva spinto e promosso il restauro.
Ma erano quelli i tempi pioneristici, ormai all’apertura del nuovo secolo, in cui gli studiosi genovesi della Società Patria, lo stesso D’Andrade percorrevano le terre, ancora campestri, della nostra diocesi, alla ricerca di una lapide, per l’identificazione di una chiesa di cui la memoria locale non aveva conservato lo sviluppo storico. Era un’ansia di conoscenza, un bisogno di fermare, in appunti e disegni, quanto si veniva scoprendo, di ripristinare, di recuperare. Si scriveva la nuova storia d’Italia, attenti però alle radici del Medioevo.
Ed oggi, epoca in cui, con un turismo culturale divenuto ambita meta e fonte di introiti per gli enti locali, il restauro, la riproposizione del passato e la divulgazione rigorosa sono divenuti arte, ci si chiede perché, nel silenzio generale dell’intellighentia cittadina, chi la pieve l’ha conosciuta, e magari amata, sui saggi che ne hanno percorso la storia, debba ricorrere, per parlarne agli altri (forse vergognandosi della realtà), al virtuale di una foto di archivio.

Eliana M. Vecchi
"La tavola di "Madonna con bambino", opera della seconda metà del Quattrocento, firmata da Iacopo Spinoloto, fu rubata dalla pieve di San Venerio la notte del 28 febbraio 1974, una notte fredda e piovosa. I ladri, entrati da una finestrella della sacrestia con una scala recuperata nel cimitero, dimostrando una buona conoscenza degli ambienti, cancellarono anche abilmente le impronte fangose lasciate. Non è più stato possibile, in questi anni, trovare tracce del dipinto.
L'articolo di Piero Donati, valente e stimato studioso della pittura ligure e lunigianese, nonchè funzionario della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici della Liguria, a cui sono istituzionalmente demandati i compiti di tutela, riporta all'attenzione la tavola scomparsa, affidando alla Rete Web la speranza di ritrovarne indizi".


Da bravo fan di Stanley Kubrick, sono certo che il monolito collocato nella piazza antistante la pieve di San Venerio sia un omaggio ad un celebre film del grande cineasta.
Come funzionario di Soprintendenza, invece, vorrei ricordare che, se l’esterno della pieve si è così significativamente "arricchito", l’interno è stato però spogliato, diversi anni fa, di un importante dipinto su tavola dello spezzino Jacopo Spinoloto (sec. XV).
Restaurato fra il 1957 ed 1959 da Martino Oberto (Genova), il dipinto (cm 140x64) costituiva lo scomparto centrale di un polittico.
Fu trafugato dalla chiesa alla metà degli anni Settanta.
Ecco la fotografia, nella speranza che qualcuno possa fornire qualche indicazione utile al suo ritrovamento.

Piero Donati*
* Funzionario della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici della Liguria
Jacopo Spinoloto, Madonna col Bambino (sec. XV), opera rubata